I TESORI DEL VINO ITALIANO: IDENTITÀ DELLA SPERGOLA


Alla ricerca delle radici

Nel mondo del vino italiano è in atto, da alcuni anni, una tendenza ben definita, osservabile sia tra i produttori sia tra i professionisti del settore, ma anche tra i consumatori più esigenti, che potremmo chiamare “ricerca di identità territoriale”. 
All’interno di questa idea guida rientrano concetti ormai piuttosto diffusi: riscoperta di vitigni autoctoni, legame tra vino, cultura e territorio, valorizzazione del terroir (sostantivo francese che non trova omologhi nella lingua italiana, perché racchiude in sé diversi aspetti che definiscono l’identità di un vino). 
In sintesi, si tratta di caratterizzare ciascun vino non solo per i suoi aspetti organolettici ma anche per la storia che gli appartiene, intrecciando quelli che sono i fattori di base della sua produzione: vitigno, territorio, persone, da cui prendono forma, nel tempo, cultura e tradizione. Non a caso l’approccio al vino da parte del consumatore sta andando proprio in questa direzione, che tende a valorizzare i connotati identitari, incoraggiando così i produttori e i comunicatori del vino ad approfondire la ricerca di quelle che potremmo definire le sue “radici”. A volte si tratta di un’opera ardua, alla ricerca di fonti scritte difficilmente reperibili o, in alcuni casi, di testimonianze tramandate oralmente per generazioni e, purtroppo, non sempre sopravvissute all’inesorabile scorrere del tempo. 
 
Questa ricerca nasce esattamente in tale contesto, con lo scopo di raccogliere alcuni elementi storici che ci possano aiutare a ripercorrere il lungo viaggio attraverso i secoli dell’uva spergola e dei vini che da essa prendono vita nel territorio collinare/pedecollinare della provincia di Reggio Emilia, a cominciare dal distretto scandianese.
 

Primi riferimenti storici

Il primo riferimento presente in letteratura ci riporta nientedimeno che a Matilde di Canossa (1046-1115), figura di primissimo piano nella storia europea dell’alto medioevo, che proprio nei territori della collina reggiana aveva il cuore del suo regno. Si tratta di un riferimento generico a vini che vennero omaggiati a papa Gregorio VII, presente al castello di Canossa in occasione del famoso Perdono invocato e ottenuto dall’imperatore Enrico IV il 28 gennaio 1077, dopo tre giorni e tre notti passati in attesa davanti al portale chiuso della rocca, vestito con un saio sotto la neve, il capo cosparso di cenere. 
Con un balzo in avanti di circa mezzo millennio, arriviamo a una fonte storica fondamentale, grazie a Bianca Cappello, granduchessa di Toscana e moglie di Francesco I de’ Medici, donna dalla vita turbolenta, famosa per la sua bellezza e raffinatezza.
Nelle sue memorie di viaggio racconta di aver fatto tappa con la sua scorta all’eremo di San Pellegrino in Alpe, situato nell’alta Garfagnana in provincia di Lucca, al confine con la provincia di Modena, ancora oggi visitabile e sede di numerosi pellegrinaggi. La granduchessa narra di essere stata accolta e rifocillata dopo un lungo viaggio: «Mentre mi ristorava al fuoco dal sofferto freddo, uno de’ giovinetti e la fanciulla si presentarono con buon garbo, recando un orciuolo di vin bianco, un piccolo pane e tre bicchieri. Bevete, madonna, di questo buon vino di Scandiano disse l’ospite, che vi gioverà».
Siamo nel 1580 e questa, per quanto è dato sapere, è la più antica testimonianza scritta che, oltre a citare puntualmente Scandiano, fa riferimento alla produzione di vino bianco locale e alla sua fama. Per dare un’idea, siamo circa un secolo prima delle esperienze di vinificazione condotte dal monaco Dom Pierre Pérignon (1639-1715), cellarius dell’abbazia benedettina di Saint-Pierre d’Hautvillers, nella regione francese della Champagne-Ardenne.  
   

Spergola: una storia millenaria di passione e devozione nel territorio reggiano

La storia legata al vitigno della spergola vuole essere probabilmente più antica rispetto alle prime fonti scritte e potrebbe vedere il suo inizio quasi mille anni fa. La fascia collinare reggiana è da sempre caratterizzata dalla presenza di alcuni dei più importanti possedimenti romani della nostra provincia, da ville rustiche e da insediamenti altomedievali nel territorio comunale, che ovviamente avevano vocazione agricola e alla coltivazione della vite. Passata la fase delle invasioni barbariche, iniziò la grande opera dei benedettini per bonificare un territorio insidiato dalle paludi, oppresso dal calore estivo e dai geli invernali, che permetteva però sempre in buona misura di coltivare la vite. Il rapporto tra la Spergola e Matilde di Canossa potrebbe essere preso in considerazione alla luce del grande sostegno dato dalla Grancontessa alla causa benedettina. 
Solo con i benedettini e la grande ripresa dell’evangelizzazione cristiana la viticoltura trovò nuovi protettori e ottimi coltivatori nei religiosi di ogni ordine e soprattutto presso le abbazie benedettine, in considerazione del valore sacrale attribuito al vino. Si curò pure la coltivazione del grano per ottenere il pane e si allevarono le api per produrre miele e cera per le candele. In ogni caso era necessario disporre di vino genuino, perché per la celebrazione della Santa Messa: «Il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato». 
Ciò naturalmente contribuì alla maggior cura di viti e vigneti. Possiamo quindi affermare che la religione nell’alto Medioevo fu un fattore determinante per la sopravvivenza della vite. Si pensi ancora alle prime comunità di cristiani, in cui non solo il celebrante ma anche i fedeli mangiavano il pane e bevevano il vino. E perché non citare la regola di San Benedetto, che prevedeva un moderato consumo di vino «che allieta i cuori». 
 

Il vino come simbolo di prestigio e devozione

Non è di scarsa rilevanza il fatto che proprio in questa epoca il vino acquisisse valore come simbolo di prestigio presso principi e feudatari in occasione di feste e libagioni. Parlare di semplici brindisi tra la contessa Matilde di Canossa e papa Gregorio VII potrebbe apparire dunque riduttivo. A buona ragione si potrebbe supporre che la contessa Matilde, che restò a fianco del papa, dopo il perdono di Canossa nel gennaio 1077, per sei mesi fino all’estate, spostandosi tra i suoi castelli di Canossa, Bianello e Carpineti, non solo lo omaggiasse con questo vino ma addirittura lo dovesse quotidianamente fornire al pontefice per la celebrazione della messa. Ora è del tutto logico supporre che, a parte il lambrusco, il papa dovesse disporre di un vino adatto alla celebrazione dell’Eucarestia e che di sicuro questo vino dovesse essere di produzione locale perché i rifornimenti non erano sempre garantiti lungo i sentieri da sud a nord, irti di pericoli. 
E dove meglio sarebbero cresciuti quei vitigni forti e resistenti di uve bianche se non sul monte Evangelo, l’attuale Monte delle Tre Croci sopra Scandiano! Terra a metà tra Canossa e Castellarano, dove Matilde possedeva una cappella che donò al monastero di Polirone. Si aggiunga che ancor oggi in questi poderi tra le colline si applica, anche se in misura sempre minore, l’antica tecnica del sovescio, che consiste nella coltivazione di leguminose tra i filari, fonte di azoto naturale per il terreno da cui si nutrono le viti. Parlando di spergola si parla anche di alta qualità ed eccellenza di un vitigno, requisito fondamentale per il tipo di vino richiesto nelle celebrazioni della messa insieme a quello della purezza. L’uso ancora vivo nelle case di far appassire i grappoli di uva bianca per farne un vino dolce più corpo- so non possono che dare più forza a questa supposizione. D’altra parte Donizone nel Vita Mathildis, la biografia scritta in onore della Grancontessa, ci parla anche del famoso balsamo, l’attuale aceto balsamico tradizionale da sempre realizzato con uve lambrusco, trebbiano e spergola, che fu offerto da Bonifacio degli Attoni, padre di Matilde, a Enrico III* a Piacenza in una botticella argentata su un carro trainato da buoi. Della sua produzione si occupavano i monaci dell’abbazia di Sant’Apollonio a Canossa. 
È auspicabile che queste riflessioni conducano a ulteriori ricerche per reperire informazioni e dati storici più precisi. 
 

Articolo e immagine tratti dal libro “SPERGOLA - Un vitigno reggiano Viaggio tra storia, vini e territorio” di Giulia Bianco, Aliberti Compagnia Editoriale.