TIPI DI LAMBRUSCO


Il Lambrusco, il vino italiano più noto e più consumato nel mondo

Il Lambrusco si riferisce a una serie di vini, correlati ma non identici, da bersi giovane, che hanno caratteristiche comuni, quelle di essere rossi, schiumosi, leggermente frizzanti, con un bouquet fruttato, piacevole acidità e un livello moderato di alcol. Nelle sue migliori espressioni, il Lambrusco è il più noto e più consumato vino italiano nel mondo. Ci sono ben 60 cloni conosciuti del vitigno del Lambrusco. Le più ricorrenti nella realizzazione di questo vino sono sette: Sorbara, Grasparossa, Salamino, Marani, Maestri e Montericco. Da queste uve provengono le quattro Lambrusco d.o.c. (denominazione di origine controllata), usate in Emilia Romagna, nelle provincie di Modena, Reggio Emilia e Parma. 


Emilia Romagna, la patria assoluta del Lambrusco 

I Lambruschi d.o.c. sono il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, il Lambrusco di Sorbara, il Lambrusco Salamino di Santa Croce, il Lambrusco di Modena e il Lambrusco Reggiano. Le varie denominazioni possono essere: secco (dry), amabile (demi-sec) e dolce. C’è anche un Lambrusco Emilia (o dell’Emilia) i.g.t. (indicazione geografica territoriale). Nonostante il fatto che ci sia un altro Lambrusco d.o.c., quello prodotto nella provincia di Mantova (Lombardia), l’Emilia Romagna è da considerarsi in assoluto la patria del Lambrusco. 


I numerosi vitigni del Lambrusco 

I vitigni del Lambrusco sono tanti, ma qui descriveremo soltanto i più utilizzati. Il Sorbara ha grappoli conici, acini blu-rossastri sferoidali. Secondo l’annata, si presenta in parte acinellato per un’anomalia dei fiori, che provoca una perdita considerevole di prodotto; in certi anni, fino ai due terzi del potenziale raccolto. Questa caratteristica lo affianca a un nobile vitigno come il Picolit. Il Grasparossa ha grappoli conici, di media lunghezza; acini sferoidali, blu scuri o nerastri, pruinosi; buccia consistente; polpa mediamente succosa, dolce, lievemente acidula. Non è un vitigno molto vigoroso. Il Salamino, vitigno dotato d’ottima vigoria, ha grappoli piccoli, sui dieci centimetri, cilindrico-conici, compatti, sottili; acini, diseguali, sferoidali, con buccia pruinosa blu-nerastra, consistente; polpa succosa dal gusto lievemente dolce e acidulo.
 
Generalmente, il vitigno è utilizzato nei tagli, ma trova anche qualche vinificazione in purezza di buona qualità. È uno dei principali componenti del Lambrusco Reggiano, del Reggiano Rosso d.o.c. e del Colli di Faenza, oltre ad avere coinvolgimenti in quasi tutti gli altri tagli di Lambrusco. Il vitigno apporta molto colore e zucchero ai vini, offrendo una discreta alcolicità. Poiché fornisce in genere poca acidità, deve essere tagliato con vini più strutturati.  

 

Il suolo franco limoso-argilloso contribuisce ad esaltare la qualità delle uve lambrusche

I terreni posti a sud della via Emilia, corrispondenti alla zona collinare, fanno parte del margine appenninico del quaternario antico, costituito da depositi morenici e fluviali. Composti da ghiaie e ciottolati accompagnati da depositi argillosabbiosi, sono ideali per la coltivazione della vite, perché non trattengono molta acqua. In pianura, esistono terreni argillosi, di difficile coltivazione per l’azione impermeabilizzante del limo, e terreni sabbiosi, corrispondenti alle zone di pianura più alte e agli scarichi alluvionali di Secchia, Panaro e Po. Per esempio, i famosi «saldèin éd Sàccia», che rappresentano il substrato ideale per le più pregiate uve di pianura, essendo composti d’argilla e sabbie che garantiscono un buon drenaggio e una buona fertilità. 
 
 

Denominazioni di origine controllata (D.O.C.) VS Denominazioni di origine protetta (D.O.P.)

Quando i vini bianchi, piuttosto alcolici e dolci, passarono di moda come i duri e anonimi vini neri (ottenuti anche con la «labrusca») tolti dalla botte e serviti in caraffa direttamente sulla tavola, iniziò l’era del Lambrusco. L’esperimento di sigillare le bottiglie con il tappo di sughero per conservare meglio il contenuto, che aveva già reso celebri alcuni vini francesi, fu tentato anche da qualche produttore locale. Il successo fu immediato e vastissimo. Nel 1700 circa, si ebbe un’importante innovazione tecnica per la conservazione di questo vino frizzante: l’introduzione di una particolare bottiglia denominata Borgognona, caratterizzata da un vetro resistente e spesso e il relativo tappo di sughero tenuto fermo con l’aiuto di uno spago che altrimenti tenderebbe a saltare a causa della rifermentazione degli zuccheri che crea anidride carbonica. 
 
L’esigenza di una disciplina rigorosa, che salvaguardi la tipicità e unicità dei diversi Lambruschi secondo la loro composizione e ubicazione, ha portato alla formazione prima delle d.o.c. (denominazioni di origine controllata) e poi delle d.o.p. (denominazioni di origine protetta), con i rispettivi disciplinari. Sono sorte in epoche differenti, a partire dal 1961 con le tre modenesi, per proseguire con la reggiana nel 1972, con la Colli Scandiano e Canossa nel 1976, per finire con la mantovana nel 1987. 

Il Sorbara è composto al 60 per cento di vitigno Sorbara e al 40 per cento di vitigno Salamino.
Il Grasparossa è composto all’85 per cento di Grasparossa e di altri Lambruschi fino al 15 per cento.
Il Salamino è composto al 90 per cento di Salamino e d’altri Lambruschi al 10 per cento
Il Lambrusco reggiano è composto all’85 per cento di vitigni Marani, Salamino, Montericco e Maestri e al 15 per cento di Ancellotta.
 
Per tutelare da ogni punto di vista le caratteristiche di ciascuna zona di produzione, sono sorti i consorzi
 

Vitigno Lambrusco Marani

Il Lambrusco Marani è uno dei tanti vitigni a bacca rossa della famiglia della «vitis labrusca», che non è da confondersi con la varietà americana, ma da associare - come più volte sottolineato - alle viti selvatiche europee, in particolare quelle appenniniche, che hanno avuto in Emilia la loro origine e diffusione. Il vitigno si presenta con grappoli di dimensioni medio-grandi, a forma piramidale o cilindrica, lunghi e leggermente alati, con densità mediamente compatte. Le bacche hanno dimensioni medie con forma sferica. Le bucce sono molto concentrate in pruina, spesse e coriacee, con colori blu tendenti al nero. Il vitigno è dotato di un’ottima vigoria, con rese molto alte e costanti. La coltivazione trova i migliori risultati nei terreni alluvionali, dove freschezza e lavorazioni in profondità ne favoriscono una produzione qualitativa più alta che in altri tipi di territori. Offre buone risposte anche in presenza di argilla, purchè in terreni di ottimo drenaggio. Il nome Marani fu utilizzato per la prima volta nel 1825 dallo studioso di ampelografia Giuseppe Acerbi, che cominciò a differenziare i vari sottotipi del Lambrusco, prima sempre identificati come un unico vitigno.
 
 

Vitigno Lambrusco Maestri 

Il Maestri è un vitigno a bacca rossa parte della grande famiglia dei Lambruschi, appartenenti alla «Vitis vinifera», da cui i Romani ottenevano già all’epoca vini vivaci e freschi, da speziare e rendere ancora più aromatici. In particolare, questo vitigno Lambrusco produce grappoli di medie dimensioni a forma cilindrica, con densità media, alati. Le bacche sono anch’esse di medie dimensioni, sferiche e con abbondante pruina sulle bucce coriacee, leggermente acide, ottime per la produzione di vino frizzante. Il vitigno è apprezzato per la sua ottima vigoria e resistenza, oltre che per l’adattabilità a quasi tutte le condizioni pedo-climatiche. È inoltre molto fertile, espanso e rigoglioso. Preferisce i climi freschi e umidi, ma non soffre eccessivamente le zone più secche. I sistemi dall’allevamento utilizzati sono espansi con potature generalmente lunghe in modo da poter sfruttare al massimo le vendemmie meccanizzate. Questa caratteristica di allevamento espanso si riflette anche sulle rese, molto alte e regolari, con maturazione tardiva. Il Lambrusco Maestri è spesso vinificato in purezza, ma anche in assemblaggio, perché apporta molto colore grazie alla grande presenza tannica e di coloranti nelle bucce e nei vinaccioli. I vini sono semplici, freschi, vivaci, da bere giovani, molto spesso nella versione frizzante naturale. Le profumazioni sono gradevoli e fruttate, mentre l’acidità naturale fornisce gusti secchi e dissetanti. Gli abbinamenti sono i più vari. Il Lambrusco può abbinarsi con antipasti di salumi, formaggi freschi, primi piatti al sugo e anche con carni non elaborate. 
 
 

Vitigno Lambrusco Montericco

Il territorio del piccolo borgo di Montericco, sulle colline attorno ad Albinea, in provincia di Reggio Emilia, è famoso, perché produce l’omonimo Lambrusco, una d.o.c. che deriva da una varietà autoctona a maturazione tardiva. Meno noto rispetto ai più diffusi Grasparossa, Sorbara e Salamino di Santacroce, è un vino rosso frizzante di colore rubino intenso, fresco e poco alcolico, vinificato sia nella versione amabile sia in quella frizzante. A Montericco c’è un microclima particolarmente temperato rispetto alle colline circostanti. Il vitigno dà uve tardive con buona acidità. Rispetto agli altri Lambruschi, si distingue perché è più delicato, sia all’olfatto, sia al palato. Il colore tende al rosato. Il grappolo è di dimensioni superiori alla media, pesante, con bacca grossa di colore blu-viola. Il vino ha un odore gradevole, caratteristico, fresco e fruttato. Il sapore è armonico, abboccato, secco, di giusta corposità. 
 
 

Vitigno LAmbrusco Ancellotta

L’Ancellotta è un vitigno rosso prodotto sia nel Modenese sia nel Reggiano, i cui primi riferimenti storici risalgono al 1400, quando le fu attribuito questo nome grazie alla diffusione che la famiglia Lancillotti riuscì a dare al vitigno, che oggi rappresenta il 15 per cento del taglio del Lambrusco Reggiano. Questa varietà di Lambrusco, che trova molta popolarità in tutto il Reggiano e nelle aree limitrofe anche al di là del Po, è fra le più coltivate tra quelle della famiglia, grazie a un apporto qualitativo di grande livello, tanto che qualcuno la vinifica anche in purezza. È un vitigno molto vigoroso, con maturazione mediamente tardiva, tra la fine di settembre e i primi d’ottobre, con grappoli medi e cilindrici, chicchi ben sferici e consistente pruina sulla spessa buccia. L’Ancellotta è coltivata su qualche ettaro anche in Trentino, dove fu introdotta nel primo dopoguerra, in Puglia, in Sardegna e in alcune regioni dell’Italia centrale. 
 
 

Articolo tratto dal libro “La rivincita del Lambrusco” di Sandro Bellei, Aliberti Compagnia Editoriale